Il catenaccio

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“Catenacciaro” è ancora oggi uno degli insulti più comuni del calcio, soprattutto verso le squadre italiane e soprattutto quando non si è riusciti a superare i loro fortini difensivi. Il cosiddetto “catenaccio” è un modulo dove a farla da padrone è proprio la difesa, secondo la famosa regola del “primo, non prenderle”. Il catenaccio arriva in Italia (dalla Svizzera di Rappan) all’inizio degli anni Quaranta, dove viene applicato soprattutto da due maestri come Nereo Rocco ed Helenio Herrera. Rocco giocava soprattutto con un 1-3-3-3. Figura fondamentale del catenaccio è infatti lo stopper, il mediano fatto arretrare dietro la linea dei difensori per raddoppi di marcatura e per recuperare i palloni sfuggiti ai compagni di reparto. Il catenaccio nasce con rigide marcature a uomo, rappresentando un’evoluzione del “sistema” allora in voga con l’aggiunta di un quarto difensore, a scapito del centrocampo che diventava a tre; in questo modo, l’inferiorità numerica a metà campo veniva contrastata con l’arretramento di un’ala, la cosiddetta ala tornante, un attaccante che fungeva da raccordo tra centrocampo e attacco. Proprio per l’arretramento dell’ala destra il terzino in marcatura avversario, cioè il sinistro, cominciò ad avanzare, dando origine alla figura del terzino fluidificante. Quando in Italia comincia ad affermarsi la marcatura a zona, il catenaccio “tiene” bene, anche se il centrocampo finisce con lo sposare il nuovo stile di gioco formando la cosiddetta zona mista (quella della Juventus di Trapattoni e dell’Italia di Vicini e Bearzot). Oggi il catenaccio non gode di grande successo, anche se spesso è l’unica arma per le squadre nettamente più deboli dell’avversario o che si trovano per qualche motivo in inferiorità numerica e devono difendere il risultato; in questo caso, le opportunità di segnare un gol per chi pratica il catenaccio si traducono soprattutto nel contropiede.