Fotografia – lo sviluppo

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Lo sviluppo fotografico è, per molti, un ricordo di anni passati, quando si portava il rullino dal fotografo per poi ritirare qualche giorno dopo le foto delle vacanze. Per tutti gli appassionati che ancora oggi, in un´epoca dominata dalla fotografia digitale, e dove lo “sviluppo” non esiste più, ma in una frazione di secondo l´immagine passa dalla fotocamera al computer, per poi essere stampata, magari ad altissima risoluzione, continuano a coltivare il fascino dell´analogico, rimane però un processo affascinante e difficile, praticato soprattutto per il negativo bianco e nero, la tipologia dove ancora il dominio della “vecchia scuola” è incontestabile. Il tempio dello sviluppo è la camera oscura, illuminata solo dalla lampada di sicurezza che emette una luce inattinica rossa o giallo-verde, o in mancanza di questo la caratteristica “mutanda”, la sacca con maniche a tenuta di luce. Qui la pellicola viene rimossa dal caricatore e avvolta in un contenitore da inserire nella tank, per essere poi trattata con il rivelatore (che riduce l´alogenuro di argento esposto in argento metallico). Fermato questo processo quando l´immagine è visibile con un bagno d´arresto, il passo successivo è quello del bagno di fissaggio; dopo si lava la pellicola per eliminare i residui di tiosolfato, poi un altro bagno in acqua distillata o tensioattivo e, infine, la pellicola può venire appesa per asciugare, avendo cura che non ci sia polvere. Tutte le variabili qui menzionate hanno un ruolo determinante nel risultato finale: il tipo di rilevatore usato, il tempo di sviluppo, la temperatura dei bagni, in modo da ottenere il contrasto e la densità del negativo desiderato; più tempo si impiega per lo sviluppo più aumenta la densità ottenibile, permettendo così di “tirare” la pellicola oltre la sua sensibilità nominale, fino a raggiungere risultati di alta granulosità e contrasto.