Le vite dei beati seicenteschi

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Il Seicento fu un secolo fondamentale per la religione cattolica, che dopo il Concilio di Trento si trovò a dover definire i caratteri della nuova devozione. Uno dei punti più importanti di questa tipologia di azione fu proprio basato sulle vite dei santi e dei beati, soprattutto di quelli che avevano fatto mostra della propria umiltà e disposizione al sacrificio, portando la parola di Dio in luoghi lontani. Ad esempio, il fondatore dei gesuiti, Ignazio di Loyola, fu l’oggetto di molte biografie, così come i suoi più vicini seguaci, che molto fecero per l’evangelizzazione di Paesi remotissimi come la Cina, il Sudamerica, il Giappone.In particolare, l’estetica del Barocco era molto adatta a questo genere di racconti biografici dove l’automortificazione e l’umiltà assoluta erano costanti, anche con il corredo di episodi miracolistici che molto impressionavano i fedeli dell’epoca. Un esempio fu la vita di Fra Taddeo de Tocco, che morì a 106 anni e che nella sua vita si era solo nutrito di pane e acqua e avanzi dei poveri. Le canonizzazioni dei santi erano seguite da grandi feste e da cortei, come accadde ad esempio per quella di S. Ignazio, S. Francesco Saverio, S. Teresa d’Avila e S. Filippo Neri nel 1622.La devozione popolare arrivava anche a eccessi e isteria collettiva, tanto che ad esempio il corpo di S. Filippo Neri dovette essere nascosto da parte dei padri dell’Oratorio per evitare che finisse smembrato da chi era disperatamente a caccia di reliquie. Il Seicento fu infatti un periodo caratterizzato dal proliferare di reliquie e resti dei santi (come ad esempio le teste dei Santi Pietro e Paolo che venivano esposte a San Giovanni in Laterano e che vide anche Montaigne), e spesso le biografie dell’epoca facevano riferimento a prodigi e a episodi miracolosi.